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L'alba era nebbia fredda
Inserito da paulrunner il 03/09/2009 alle 11:48 nella sezione cross & trail
Raccontare una gara non è mai facile, per ovvi motivi si tende ad essere ripetitivi anche perché cambiano i paesaggi ma non le sensazioni: questa per me è stata, al di là delle emozioni, una gara particolare, sicuramente la più dura anche se più breve di altre, in regime di insufficienza alimentare e, soprattutto, di astinenza (voluta) totale da gel e simili perché la sensazione di disagio che provocano nel mio stomaco è, pur se superficiale, di gran lunga superiore ai sicuri benefici e poi anche, diciamolo, per avere un rapporto diverso con queste corse dove la tua natura si deve fondere senza aiuti con quello che ti circonda. O ce la fa oppure no.
La corsa era iniziata con il sole che ti scottava la pelle, prima nella salita verso la Tete de la Tronche e poi verso il Grand Col Ferret, le due ‘vette’ della gara: io intanto avevo deciso, per evitare spiacevoli conseguenze, di fare la corsa con un’alimentazione ridottissima (alla fine saranno tre banane, un arancio spremuto in bocca, una tazza di brodo e una decina di penne al ragù a metà gara) ma bevendo moltissimo (alla fine saranno quasi dieci litri tra acqua e coca-cola).
Se aggiungiamo una cena la sera prima con due frutti e due gallette ed una colazione con una tazza di tè si può capire che tutto posso aver provato in gara tranne la pesantezza di stomaco…
Verso l’imbrunire ho attraversato il piccolo borgo svizzero di La Fouly, con i banchetti improvvisati dai bambini sui prati davanti a casa per offrire bicchieroni d’acqua, la gente seduta fuori a mangiare, una sensazione di pace universale di cui facevo parte sia pure per una manciata di secondi: una vita che non potrei concepire, se non faccio almeno tre lavori mi sento disoccupato, una vita che però mi attira perché, forse, è la vita che vorrei, attratto come sono/siamo spesso dall’opposto del nostro esistere.
Poco dopo la Fouly siamo a metà gara ed inizia la salita verso Champex: è buio, tutti accendono le lampade frontali ed i rami disegnano folli figure semi-animate che guizzano improvvise davanti a noi sino all’arrivo di Champex.
E’ un traguardo importante sia psicologicamente, perché siamo oltre metà gara anche se ci attendono tre salite molto dure, sia perché il tendone del ristoro è molto ricco di piatti caldi e assistenza.
Significa però anche il freddo notturno, accentuato dalla fatica e dal contrasto tra il tendone con decine di atleti e familiari, i cibi caldi e la temperatura esterna.
Quei quindici gradi di differenza appena varchi la soglia sono pesanti, soprattutto per chi ha mangiato.
La notte è sfiancante, nelle salite mi superano a decine, stranamente tengo bene nelle discese.
Si saliva nel bosco già da tempo, con alti gradini di roccia e migliaia di radici che rendevano difficile ogni passo.
La notte porta con sé sentimenti diversi, da un lato amo la notte nel bosco perché è un ritorno alle origini, ad una profonda simbiosi tra te e la natura mentre gli altri sono solo minuscole luci, ora vicine, ora lontane, respiri affannosi.
Dall’altro la temo per una paura ancestrale, perché non sai chi o cosa ti aspetta nel buio: un chi ed un cosa ben nascosti dentro di te. Poi venne l’alba.
Un’alba di nebbia e di freddo, il vento aveva già iniziato a soffiare in cima a Catogne, dove i volontari del ristoro avevano acceso un gran fuoco per riscaldarsi, e non voleva più fermarsi e portava sempre nuove volute di aria densa, nebbiosa, che rendeva opaca la scena illuminata dalla lampade, come se un velo invisibile danzasse davanti ai tuoi occhi: i contorni delle montagne erano divenuti indistinti e non capivi mai quanto era lontana la cima.
Ma c’è sempre un arrivo, un traguardo, vale per tutti, per chi è arrivato fino in fondo e per chi si è fermato prima ma ci ha voluto credere, per me non fa differenza: Chamonix è solo una passerella tra gli applausi e le emozioni che finalmente sono libere.
Ed il pianto. Piangi perché sai che quel momento è e sarà unico, perché da domani ricomincia la vita vera, quella di tutti i giorni, quella degli altri che adesso sono là dietro ad applaudirti e gridare il tuo nome, quella vita che poi è anche la tua, piangi per chi non c’è più, per chi ti aspetta, piangi soprattutto per te.
E la tua mente, quella che ti ha fatto superare tutto, è proprio lei quella che piange per prima.
Paolo Valenti

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Grazie
Franz
Complimentissimi al quadrato, mi dispiace non averti tracciato assieme agli altri sul live, ma evidentemente ho sbagliato ancora a spulciare tra gli iscritti.. Mea Culpa!