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Via Francigena Half Marathon

Inserito da antelvis il 20/05/2009 alle 23:29 nella sezione strada

La sveglia del telefono cellulare è puntata alle 5.30.
Di solito quando ho un impegno mi sveglio spontaneamente una decina di minuti prima che il maledetto aggeggio cominci a suonare.
Oggi però non va così.
Oggi il mio sonno è di piombo.
Così quando iniziano gli squilli fatico a realizzare che è ora di svegliarsi e di alzarsi e di andare.

Ma poi la coscienza arriva dal posto misterioso dove va a rintanarsi ogni notte, e realizzo che è arrivato il giorno del mio ultimo appuntamento con me stessa, almeno per questa stagione.
Mi sollevo dal letto con fatica: il collo e la spalla destra sono ancora indolenziti, la gola pizzica e il naso è intasato.
Sono conciata da buttar via, ma sto un po’ meglio dei due giorni appena passati.
Almeno posso girare il collo e non mi sento piĂą la febbre.
Apro la scatoletta alla gatta, che una volta tanto viene svegliata da me anziché svegliarmi.
Peccato: è piacevole sentire le sue fusa e i suoi bacetti al mattino.
Mangio al volo tre gallette di riso cariche di miele, indosso la tuta della mia societĂ  sportiva, prendo lo zaino preparato la sera prima e via, in bicicletta, verso il campo XXV aprile.

L’atmosfera di Milano alle sei della domenica mattina è surreale: i vialoni della circonvallazione sono deserti e l’aria è frizzante, nonostante la copertura del cielo faccia presagire la cappa che scenderà tra poche ore sulla città.
Al campo trovo giĂ  quattro amici del Road Runners Club pronti a partire.
Si sono organizzati per andare tutti con la stessa auto, ma se c’è bisogno sono disponibili ad accogliermi.
Dopo pochi minuti arriva quasi sgommando Attilio, il segretario del club, che ha appena stabilito il nuovo record di percorrenza tra Melzo e il campo XXV aprile.
Arriva anche Mario con lo scooter e subito sale sulla macchina di Attilio, dove si accascia sul sedile posteriore.
Arrivano altri atleti che si sono dati appuntamento qui per andare insieme all’appuntamento di oggi.
Scambiamo quattro parole e poi tutti partono.
Rimaniamo solo Attilio, che mi darĂ  un passaggio, Mario e io: siamo in attesa di Sara, una nostra giovane compagna di club, che aveva preannunciato la sua presenza.
La chiamiamo piĂą volte, ma non risponde al telefono.
Alle 7.15, a malincuore, decidiamo di partire senza di lei.

All’imbocco della tangenziale ci chiama: è stata male questa notte e non ha sentito la sveglia.
Vorrebbe che l’andassimo a prendere a Opera, ma temiamo di non avere più il tempo per farlo: oggi abbiamo tutti un appuntamento al quale non vogliamo mancare.
Sentendoci un po’ in colpa, decidiamo di andare per la nostra strada, augurandoci che Sara riesca a trovare un mezzo alternativo per raggiungerci all’appuntamento.
In auto siamo tutti silenziosi.
Mario è preda di un fastidioso mal di pancia e del sonno.
Attilio è un po’ nervoso, perché siamo in ritardo di mezz’ora sulla tabella di marcia.
Scopro che anche lui è vittima del mal di gola.
Scopro che anche lui cercherĂ  oggi di stabilire il suo primato personale sulla distanza.
Comincia a pestare sull’acceleratore e mi chiede se ho paura della velocità. Gli rispondo che dopo aver viaggiato per due mesi di fila quattro volte al giorno su auto guidate dai sadiki egiziani a Marsa Alam, nulla più può spaventarmi.
Il effetti le vibrazioni della sua Multipla ai 180 km orari fanno un po’ impressione.

In un’oretta raggiungiamo la nostra meta, il luogo del fatidico appuntamento col nostro personal best nella mezza maratona: Vercelli.
Troviamo un bel parcheggio vicino alla partenza (per starci dentro Attilio non esita a spingere un po’ in avanti un cassonetto col muso della sua auto, in puro stile milanese) e in un attimo riceviamo i pettorali dall’amico Marco, promotore di questa trasferta del gruppo Road Runners nella cittadina piemontese.
Sento fortissimo il bisogno di un caffè.
Cerco e trovo un baretto vicino alla partenza e ne approfitto per la classica puntatina in bagno.
Peccato che la porta sia priva di serratura e l’ansia di venire sorpresa a mezz’aria sulla turca mi impedisce di soddisfare appieno i bisogni fisiologici.
Pazienza, noi donne siamo abituate a correre trattenendo sempre qualcosa: i servizi annessi alle gare sono sempre pensati e realizzati a misura d’uomo.
Il caffè mi fa sentire quasi umana.
Appunto il pettorale sulla canotta della società e decido di indossarla sopra alla maglietta con le maniche corte: mi sembra di sentire un po’ di fresco o forse sono io che sono ancora raffreddata.
Ora sono rimasta sola e posso dedicarmi ai riti del pre-gara, grazie ai quali sono solita trovare la mia concentrazione: un po’ di stretching (i soliti tre esercizi collaudati da tenere contando fino a 30 per ogni gamba), qualche balzo, alcune centinaia di metri di corsa lenta, qualche allungo corso in scioltezza.
La mia mente sembra vuota in questi momenti: nessun pensiero alla distanza che mi aspetta, all’obiettivo che mi sono prefissata, alla possibilità di non farcela.
Nessun pensiero e basta: solo sensazioni che arrivano dal corpo, i muscoli che si allungano e poi si riscaldano, i piedi fasciati dalle scarpe allacciate strette, la pelle che rabbrividisce al contatto con l’aria, la vescica non del tutto svuotata che manda qualche piccolo stimolo.

A qualche minuto dal via entro nella zona della partenza.
Senza quasi volerlo mi ritrovo in terza fila.
Come al solito, col mio metro e cinquanta scarso, mi trovo pressata e sovrastata dai corpi seminudi dei podisti che mi circondano e la sensazione non è piacevole.
A questo punto, come sempre, non vedo l’ora di cominciare a correre.
Ancora qualche chiacchiera dello speaker, il breve conto alla rovescia e via!
Sono molto avanti e non ci sono ostacoli alla mia corsa.
Il primo chilometro lo faccio in 4’09”.
Riesamino il mio obiettivo: voglio chiudere in meno di 1 ora e 37’, tempo minimo per le donne della mia età per potersi iscrivere alla maratona di New York.
1 ora e 37’ per 21 km vuol dire tenere un ritmo di 4’35” al chilometro.
Il secondo chilometro lo chiudo in 4’23”.
Vuol dire che ho messo in cascina 28 secondi da spalmare sui prossimi 19 km.
Per il terzo chilometro impiego ancora 4’23”: la riserva diventa di 40” per 18 km.
Vuol dire che da ora potrei correre al ritmo di 4’37” al chilometro e centrare l’obiettivo.
Mi dico che dovrei rallentare: nell’ultimo mese in allenamento faticavo a tenere il ritmo di 4’30” al km sulle ripetute, non posso continuare a questo ritmo.
Eppure le gambe non ne vogliono sapere di rallentare: questo è il ritmo che a loro piace tenere in questo momento.
Penso che tutto sommato la mezza non è come la maratona e che non pagherò troppo una partenza troppo veloce e – come di rado mi capita – allento un po’ la presa dell’auto-disciplina.

Usciamo dal centro abitato e iniziamo a inoltrarci tra le risaie.
La strada è lunga, diritta e piatta e i chilometri scivolano via lisci e tranquilli, con le gambe che girano da sole.
Il ritmo si mantiene constante e arrivo al 7° chilometro in 31 minuti. Se proietto il tempo sull’intera gara, ne risulta un tempo per me difficile da immaginare: 1 ora e 33 minuti.
Mi ripeto che devo rallentare, ma la presenza di alcune donne poco piĂą avanti mi spinge a tenere il ritmo per raggiungerle e superarle.
Non mi considero troppo competitiva nei confronti degli altri (lo sono moltissimo, invece, nei confronti di me stessa) ma a volte spuntano di questi pensieri.
Il decimo chilometro è mal segnalato ed è all’interno di un centro abitato di cui non riesco a memorizzare il nome.
Comunque lo raggiungo in poco più di 44 minuti: è lo stesso tempo della mia ultima garetta sui 10 km. Sto andando troppo forte!
Usciti dal paesino prendo un po’ d’acqua al ristoro e ne bevo in corsa un paio di sorsi.
In breve mi trovo davanti un cavalcavia che passa sull’autostrada.
La salita è abbastanza ripida e – soprattutto – è molto lunga. Come sempre accade sulle salite, salgo senza problemi coi miei 45 kili scarsi e supero tante persone con le gambe molto più lunghe e più forti delle mie.
La discesa è facile, troppo facile… e quando la strada torna ad essere pianeggiante, le gambe si appesantiscono.
Finora ho guadagnato quasi 90 secondi sulla tabella di marcia e mi mancano un po’ meno di 11 km: vuol dire che posso correre a 4’43” per raggiungere comunque il mio obiettivo.
Ma mi rendo conto che ora faccio fatica a stare anche a questo ritmo molto piĂą blando.
Improvvisamente mi rendo anche conto dell’afa soffocante che è scesa ormai da un po’ sulla strada.
Maledico la decisione di tenere la maglietta con le maniche corte sotto alla canottiera, ma non ho il tempo di pensarci troppo perché – oddio! – sta arrivando un altro cavalcavia!
In salita sono sempre più rapida di quelli che mi stanno intorno, ma questo chilometro, il 13°, lo chiudo in 4’53”.
Mi raggiunge un ragazzo in canotta azzurra, che mi incita con un “brava signora!”. Come “signora”?!?!? Mi sta prendendo in giro?
Gli chiedo da dove viene, e scopro che abita nella provincia di Teramo.
Non gli chiedo come si chiama: per me da ora il suo nome è “Abruzzo”.
Parliamo delle mie origini abruzzesi e – naturalmente – del terremoto, che ha portato molti disagi e danni anche nel suo paese.
Finita la discesa, lui s’invola. Io mi sento inchiodata all’asfalto.
Vedo in lontananza un’altra canotta del Road e la metto nel mirino.
Nel frattempo la fatica si fa pressante.
Mi sfiora perfino il pensiero di ritirarmi, ma poi ricordo che non l’ho mai fatto in vita mia, e accantono l’idea.
La butto proprio fuori dalla mia testa. Arrivare fino in fondo non è qualcosa che si possa mettere in discussione, primato o non primato.

Mi viene spontaneo ripercorrere gli ultimi mesi di allenamento.
E’ da gennaio che corro almeno 5 volte alla settimana e per chilometraggi non inferiori ai 250 km al mese.
Ripenso alla maratona del 5 aprile a Parigi, alle bellissime emozioni che ho provato lì (nulla di paragonabile alla fatica e alla sofferenza di oggi) e agli ultimi noiosi lunghissimi prima di quella gara.
Richiamo alla mente le ripetute tirate fino alla morte che mi sono imposta nell’ultimo mese per acquisire velocità.
Tutto questo non può essere buttato via per 7 miseri ultimi chilometri.
Passo al 14° con un tempo di 1 ora 3 minuti e qualche secondo.
La proiezione mi porterebbe ancora sotto l’ora e 35, ma so che questo è un obiettivo che dovrò tenere in serbo per la prossima volta.
L’ora e 37’, però, è ancora alla mia portata.
Basta stringere i denti.
Ancora ora, non ho idea di cosa ci fosse intorno a me mentre meditavo questi pensieri: lo sguardo era rivolto totalmente verso l’interno.
Non saprei assolutamente dire come fosse il paesaggio, se ci fossero intorno a me poche o tante persone.
L’unica cosa che per tutto il tempo era rimasta nel mio campo visivo era la canotta del Road davanti a me.
La avvicino lentamente ma inesorabilmente e scopro che dentro all’indumento c’è Attilio, il nocchiere che mi ha portato fin qui stamattina.
Considero che sta ampiamente centrando il suo obiettivo di miglioramento.
Quando lo raggiungo mi dice di essere scoppiato.
Gli rispondo che lo sono anch’io, ma che – arrivata a questo punto – devo provarci comunque.
Mi sembra di averne piĂą di lui e lo saluto, pensando di lasciarlo indietro.
E invece lui reagisce e mi ripassa e penso che in fondo non ho sbagliato a salutarlo: sarĂ  lui ad andare e a lasciarmi indietro.
Ma lui mi dice: “Forza, attàccati a me”.
Aumenta un po’ il ritmo, piazzandosi a 4’40”.
Siamo ormai al 15° kilometro. Mi sembra di non farcela a stargli dietro e in quel momento avrei voglia di chiedergli di lasciarmi stare, perché anche questa volta posso e voglio cavarmela da sola.
Ho voglia di tornare a vedere solo dentro di me.
Ma Attilio è incalzante: “Attàccati, dài che ce la facciamo!”.
Non posso declinare il suo invito e mi rendo conto che questo ritmo è sostenibile ed è esattamente quello che mi serve per arrivare dove voglio.
Mi affianco a lui e sento che il momento peggiore è passato e che da qui in avanti tutto filerà via liscio.

Raggiungiamo “Abruzzo” e lo incitiamo a starci dietro, ma lui sembra non farcela.
Lo superiamo e Attilio mi annuncia che non sa cosa accadrà dopo il 18° kilometro: ormai ha dato fondo a tutto quello che aveva.
E infatti pochi metri prima del cartello segnaletico dei 18, Attilio mi abbandona.
Lo incito, ma lui rallenta visibilmente e in pochi secondi non è più a portata di voce.
Mi giro un paio di volte, ma vedo che ormai si sta allontanando.
Le mie gambe, invece, sembrano riuscire a tenere il ritmo, ormai fisso sui 4’40” al kilometro, nonostante il caldo soffocante e la fatica.
Mi rendo a malapena conto del fatto che stiamo rientrando in cittĂ , poi cala di nuovo una fitta tenda tra me e il mondo esterno.
Non ho quasi ricordi degli ultimi 3 chilometri, se non che il cronometro continuava a fermarsi sui 4’40” ad ogni passaggio.
Ricordo anche che sul rettilineo finale “Abruzzo” mi ha raggiunto e – pur stravolto – mi ha incitato.
Il passaggio al traguardo ferma il tempo su 1 ora 36 minuti e 15 secondi. L’obiettivo è stato centrato! 2 minuti meno del precedente primato personale, 45 secondi meno del tempo necessario per andare a New York.

Seguiranno un’inaspettata premiazione per essere arrivata seconda di categoria (dopo le prime cinque assolute) e una piacevolissima prosecuzione di giornata insieme agli amici del Road.
Ma il momento in cui il cronometro si è fermato rimarrà a fissare per sempre l’emozione di questa gara.
Anche questa volta è stato un viaggio avventuroso.
Anche questa volta, la corsa è stata una vera maestra di vita.
Elvira Kawa Antenucci

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Foto di Nando Pirotti
Foto di Nando Pirotti
Commenti
  • artiglio 21/05/2009 alle 09:14:07 rispondi
    Emozionante....
    Elvira, sei riuscita a rendere perfettamente le sensazioni provate domenica mattina, per una mezza maratona solitamente non ci sono così tante parole da esprimere.
    La mia contentezza è stata non solo nell'avere realizzato il personale, ma anche nell'avere avuto la consapevolezza che un piccolo contributo al tuo tempo minimo per NYM l'ho dato anch'io.
    Le emozioni di domenica scorsa sono quelle che rimangono, oltre al mal di gola e alla febbriciattola che mi tormenta da lunedì mattina, per la quale non sto bene ancora oggi: ma questo passa, i ricordi di quei momenti no.
    Grande Elvira
  • lordemme 21/05/2009 alle 11:06:58 rispondi
    Bravissima Elvira! Complimenti! Personale e tempo per New York: sei eccezionale! :)
    Marco
  • saracche 21/05/2009 alle 13:29:22 rispondi
    .....................
    Cavolo Elvira, complimenti per il resoconto emozionante, per l’impresa e per la tenacia.
    Leggendoti e’ stato come correrti al fianco per tutta la gara, nonostante i tratti di ricordi persi, in realtà mi hai catapultata in un mondo che non ho ancora vissuto, non ho mai fatto una mezza, ma mi hai fatto veni una vogliamatta di provarci...
    Bravissima e complimenti a tutti i partecipanti, anche ad Attilio per gara e supporto.!!
    Angy
  • liucaio 21/05/2009 alle 14:27:25 rispondi
    Complimenti
    Che prestazione!!! Ti voglio come compagna alla mia prima mezza maratona!
    Complimenti

    Luca Centrone
  • ferdinandopirrotti 21/05/2009 alle 21:31:16 rispondi
    New York...complimenti!
    Bravissima...quindi obiettivo centrato! con 2 minuti meno del precedente primato personale e 45 secondi meno del tempo necessario per andare a New York...davvero complimenti per la tua prestazione! Saluti da Nando
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