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![]() La mia prima voltaInserito da Gian il 20/10/2008 alle 14:49 nella sezione triathlon
Chiedo scusa per il ritardo e la prolissità dell’articolo, ma non era possibile raccontare in due parole un susseguirsi di emozioni tanto intense, durato un’intera giornata.
La mia prima voltaAvevo da anni rinunciato all’Ironman, dopo averlo per anni sognato, senza mai riuscire a farlo.Sapevo che le condizioni delle mie articolazioni malandate non me lo avrebbero permesso e avevo osato spingermi al massimo ai doppi olimpici, da cui uscivo a pezzi. Nonostante ciò, quando Luisella ha vinto a Viverone un’iscrizione all’Ironman dell’Elba, ho deciso di seguirla nell’impresa. Beh, mica potevo lasciarla andare da sola... Poi però lei ha presto rinunciato, perché ha visto che non ce la faceva a prepararlo, e così mi ha regalato il biglietto. Oramai ero entrato nell’ordine d’idee di tentare la sorte. Preparata abbastanza bene la bici, ho anche seguito in agosto Paolo (Visigalli) nell’avventura del Giro delle Dolomiti, gara a tappe con bici da corsa, che è servita per abituarmi a tenere il c...o sulla sella per ore ed ore senza lamentarmi; preparazione invece molto scarsa riguardo al nuoto e alla corsa (tre doppi olimpici e due mezze maratone nel corso dell’anno). E così il 5 ottobre alle ore 6, notte fonda, temperatura di 5 (cinque) gradi ero lì a battere i denti dal freddo mentre sistemavo le mie cose in zona cambio, sperando di non dimenticare niente, insieme ad altri 250 disperati. L’atmosfera era comunque magica, irreale, da film... o comunque mi sforzavo di vederla come tale per non sentire il freddo. L’attesa in riva al mare, nero come la notte, con i piedi nudi nella sabbia gelata, cercando di scrutare nella notte per capire dove fossero le boe, è stata lunga, estenuante, interrotta finalmente dalla sirena al cui segnale ci siamo tutti buttati in acqua, ubbidienti, come per una condanna. La temperatura dell’acqua era un po’ meglio che fuori, almeno così mi è sembrato, prima di perdere la sensibilità per ipotermia, prima ai piedi, poi alle mani, poi tutto il resto. Cercavo disperatamente di tenermi nel gruppo, per non trovarmi da solo, al buio a cercare boe che non avrei mai trovato. Certo che, per uno come me, che non ci vede neanche di giorno e che ha freddo a nuotare in piscina con la muta, le condizioni non erano le migliori, però, pensavo, avrei potuto farcela. Quando sono stato al largo, hanno cominciato a venirmi i crampi, avevo la nausea e il mal di pancia, però le braccia non si sono mai fermate un istante e hanno continuato a girare lentamente, mentre la muta mi teneva a galla, anche se trascinavo le gambe, contratte per il dolore dei crampi, tenendo i piedi a martello per stirare i muscoli. La frazione a nuoto costituita da due giri a trapezio da 1.9 km, con tre boe alte tre metri (abbastanza ben visibili alle prime luci del giorno), e altre boe direzionali, più piccole, per cui il percorso era ben segnalato e non era facile perdersi. Le luci della città indicavano il ritorno. Il primo giro mi è sembrato infinito, continuavo a nuotare, ma la riva era sempre lontana e irraggiungibile. Dai momenti di panico al largo con i crampi ero passato ad uno stadio di profondo sconforto per questo interminabile ed estenuante martirio. L’acqua però era trasparente, bellissima e con le prime luci che filtravano si riusciva a scorgere il fondale, i pesci.... e questo serviva per tenere alto il morale (il mio amico Bartolomeo, del Torino3, che fa il dentista, dice di essere riuscito a vedere sul fondo del mare una dentiera...) Quando finalmente i miei piedi hanno toccato terra, sono uscito dal mare barcollando, perdevo l’equilibrio e mi sono appoggiato a una transenna, incerto se ributtarmi in acqua per il secondo giro o se finirla lì. Stavo male, non ero sicuro di riuscire a farcela, l’idea di ributtarmi dentro mi terrorizzava. Se mi fossi ritirato, però, avrei danneggiato i miei compagni di squadra e tutto il Road mi avrebbe fatto un c...o che non finiva più... ma anche se fossi annegato..... mentre ero assorto in questi pensieri, ho sentito una mano sulla spalla, “forza Gian, coraggio!”.... era Paolo uscito dall’acqua dietro a me (evidentemente anche lui doveva aver avuto qualche problemino)... e così mi sono buttato dietro a lui senza pensare oltre. Grazie Paolo, sei arrivato nel momento giusto. Per un po’ gli sono stato dietro, poi l’ho perso e mi sono trovato da solo in mezzo al mare. Ormai era giorno e le boe si vedevano bene, per cui, anche se non avevo più nessuno davanti, me la sono cavata abbastanza bene. Fra un crampo e una colica intestinale, sono riuscito a finire anche il secondo giro. Quando sono uscito dall’acqua ho scoperto che avevo un gruppetto di nuotatori dietro che seguivano me (avevano scelto quello giusto!). Altra corsa barcollando fino alla zona cambio e poi mi sono finalmente seduto per terra, sotto la tenda per cambiarmi. Tremavo come una foglia e avevo le convulsioni, per cui non riuscivo a sfilarmi la muta, che sembrava incollata, e a mettermi addosso la roba per la bici. Memore dei consigli che mi aveva dato il mio amico Aurelio, già Ironman Finisher, prima della partenza, quando gli ho chiesto ingenuamente se era meglio tenere il body sotto la muta o no (risposta: “non fare cazzate, se ti metti in bici bagnato col freddo che fa, ti fai solo venire una congestione e ti ritiri. La gara è lunga, meglio perdere dieci minuti per asciugarsi bene e partire caldo e asciutto piuttosto che rischiare di fermarsi”), ho tirato fuori l’asciugamano e nonostante continuasse a cadere per terra perché avevo le mani gelate, mi sono asciugato meglio che ho potuto e mi sono messo tre maglie una sopra l’altra. La prima parte della frazione ciclistica è stata un altro martirio, visto che, nonostante le salite, non riuscivo a scaldarmi e continuavo ad avere crampi e dolori sia ai muscoli che alla pancia. vLa nausea mi costringeva a porre massima attenzione a tutto, avevo paura di cadere, non ho mai messo mano alle borracce, per paura di vomitare e il mio morale era a terra. Tiravo avanti per inerzia, solo per arrivare in fondo e permettere alla squadra un piazzamento, se pur misero, viste le mie condizioni. Sapevo di essere penultimo della mia categoria dopo la frazione di nuoto, perché in zona cambio era rimasta solo una bici intorno alla mia e sotto il tendone del T1 avevo visto arrivare l’ultimo M4, circa 5 minuti dopo di me, e quando nella discesa di Marciana, mi sono visto superare a tutta velocità anche da lui, sono ripiombato nello sconforto. Ultimo e massacrato, ma continuavo ad andare avanti, come l’orsacchiotto delle pile Duracell, che contunua a battere sui tamburi all’infinito perché le pile non si scaricano mai completamente. Finita la discesa ho deciso di reagire e mi sono lanciato all’inseguimento, almeno da non arrivare ultimo. Dopo una decina di chilometri di strada ondulata, riuscivo a raggiungerlo e a superarlo, ma dopo non molto lui mi superava a sua volta. A nessuno piaceva essere ultimo ed era nata una specie di lotta all’ultimo sangue fra poveri, che si è protratta fino alla salita di Sant’Ilario, dove il mio avversario ha dovuto cedere. Dopo il giro di boa l’ho incrociato scendendo, mentre lui arrancava ancora in salita lontano dalla cima. Evidentemente la lotta per l’ultimo posto lo aveva estenuato, mentre io ne ero uscito caricato ed è stato l’inizio di una lunga rimonta. Passato il freddo, passato il mal di pancia e tutti i dolori muscolari, mi sono dimenticato che stavo facendo un Ironman e mi sono messo a pedalare come un forsennato per recuperare il tempo perso in precedenza. In piedi sui pedali in salita e attento e veloce in discesa, continuavo a superare concorrenti, sempre più carico e contento per la mia riconquistata energia. Una bevutina di integratori e qualche timido morso a una barretta energetica, poi, quando ho visto che lo stomaco rispondeva bene al cibo, mi sono addentato 4 (quattro) panini col prosciutto che mi ero portato dietro nel marsupio come kit di sopravvivenza, e finalmente sono riuscito a bere in abbondanza, senza avere nausea e rigurgiti, cambiando le borracce a ogni ristoro e fregandomene di quello che ci trovavo dentro, il tutto condito da barrette energetiche, a piccoli morsi, una dopo l’altra, e dagli applausi del pubblico, molto numeroso e caloroso in questa occasione, che veramente aiutava moltissimo noi che avevamo bisogno di un conforto morale. Ho toccato il cielo con un dito quando sulla salita di Marciana ho superato di slancio il vincitore M4 dello scorso anno, infliggendogli una decina di minuti solo nell’ultima parte della frazione ciclistica (ma sapevo che lo avrei rivisto in corsa, visto che lui è un ottimo maratoneta). E così sono arrivato alla fine della frazione di bici in terza posizione, ben carico, fra due ali di folla esultante che faceva eco alla tri-curva, coprendo le grida di Luisella, di Monica, della signora Nava e degli altri che conoscevo e non conoscevo, disseminati lungo l’ultima parte del percorso ciclistico. A questo punto dovevo giocare bene le mie carte: ero in discrete condizioni, ma nella bici avevo forse speso più del dovuto. Davanti a me Claudio Ramella Bagneri, in prima posizione, stava già correndo da più di mezz’ora e come unica preoccupazione aveva la rimonta in maratona di Loretto Brizzi, che già l’anno scorso gli aveva inflitto quasi un’ora in maratona, portandogli via all’ultimo momento un titolo che già credeva suo, poi Bartolomeo, forte nel nuoto, ma con qualche problema nella corsa, che però aveva anche lui un distacco ragguardevole; dietro di me sentivo già il fiato di Brizzi, che mi avrebbe preso da lì a poco. Ho cominciato a correre, timidamente, cercando un ritmo che potesse permettermi di fare tutta la frazione, camminando il meno possibile. Era arrivato il momento più temuto, la mia preparazione di corsa era quella che era, la stanchezza, dopo quasi nove ore di gara, si faceva sentire; dall’ultima maratona che avevo fatto erano passati più di dieci anni, ed erano altri tempi. La mia, più che una corsa, mi sembrava una parodia di quelle anziane signore con la gonna stretta che corrono a passettini, tutte storte, per cercare invano di raggiungere il tram, che sta partendo al capolinea. Quello era l’ultimo tram della notte e non volevo perderlo. Una ventina di giorni prima della gara fra l’altro ero caduto in bicicletta (oramai è diventata un’abitudine) e avevo ancora un’anca un po’ dolorante. Cinque giorni prima della gara poi mi si era infiammato un ginocchio, mentre facevo l’ultimo breve allenamento “di rifinitura” e sono ritornato a casa con Luisella che mi sosteneva di peso. Nelle mie vene scorreva sangue e Aulin. Nonostante ciò sentivo di farcela, perché, se fino a quel momento ero riuscito ad andare avanti, voleva dire che era il mio giorno fortunato. Dopo tutto c’era già molta gente che camminava, quindi voleva dire che stavano peggio di me. L’unico problema era che, dopo sette e più ore di bici, passate il più possibile in posizione aerodinamica, il collo era talmente indolenzito, che non riusciva a reggere la testa, che mi cadeva all’indietro, mentre correvo, e non riuscivo a tenerla dritta. Mi sforzavo di piegarla in avanti, fino a trovare una posizione di equilibrio, ma poi ricadeva di nuovo piano piano all’indietro e vedevo il cielo, anziché la strada. Le gambe però continuavano a girare bene e non si sono mai fermate. A metà del primo giro (erano 5 giri da 8.5 km) ho sentito nuovamente una mano sulla spalla, “forza Gian”, era Paolo che mi doppiava. Stava facendo una gran gara, in bici aveva dominato e anche a piedi teneva bene. Anche Marco stava dando prova di una grande tenacia e determinazione, e già nella gara di Mergozzo aveva dimostrato che nella sua preparazione non aveva lasciato niente al caso: aveva circa mezzo giro di vantaggio su di me, vantaggio che incrementava col passare del tempo. Io ero quello che era messo peggio dei tre e se non fossi arrivato, avrei compromesso il risultato di squadra, questa preoccupazione mi ha accompagnato fino alla fine. Dopo non molto dal passaggio di Paolo sono stato superato anche dal mio rivale Loretto Brizzi. Andava a una velocità tale che io, se pur conscio delle sue doti di maratoneta, ho subito dubitato sul fatto che potesse reggere fino alla fine. Sembrava stesse facendo un tremila metri in pista. Ad ogni giro di boa il suo vantaggio aumentava vertiginosamente (i 5 giri erano di andata e ritorno, due virate di boa per ogni giro, per cui si potevano controllare gli avversari).... a un certo punto però mi è parso che il suo vantaggio diminuisse... sempre vertiginosamente come era aumentato. A metà maratona si è ritirato. Invece l’altro mio rivale, in seconda posizione, che pure all’inizio pareva incrementare il vantaggio, cominciava a dare segni di cedimento. Verso il 25° km, mentre guardavo il cielo con la testa all’indietro, ho sentito la voce di Luisella “Hai Bartolomeo a 8 minuti...”, e poi, mezzo giro dopo, ancora una voce “Hai Bartolomeo a 6 minuti”, e poi ancora “Hai Bartolomeo a 4 minuti”.... le mie gambe continuavano a girare sempre più forte, senza che me ne rendessi conto... ogni tanto piegavo il collo in avanti, per cercare davanti a me, finché ho intravisto nella notte la sagoma del mio amico e rivale di sempre. E questa volta sono stato io ad effettuare il sorpasso, e devo dire che i sorpassi effettuati sono stati tanti, nelle ultime fasi della gara. Col piombare della notte era ripiombato anche il freddo, Luisella mi aveva portato una felpa, che non ho voluto, perché volevo tagliare il traguardo con la canotta del Road e poi temevo la squalifica per aiuto esterno... ormai non c’era più niente che potesse fermarmi, e tantomeno il freddo, avevo già passato di peggio. Piegando la testa in avanti sono riuscito a scorgere il traguardo là davanti, poi la testa mi è ricaduta di nuovo all’indietro e, guardando il cielo, non per ringraziare Dio, ma perché non riuscivo a fare altrimenti, ho tagliato il traguardo, finendo fra le braccia dei miei compagni d’avventura, Paolo e Marco, che erano rimasti lì ad aspettarmi, poi ho visto una sedia, mi ci sono buttato sopra esausto e ho ricominciato a tremare dal freddo... fino a che ho sentito le calde braccia di Luisella intorno al mio collo. Giancarlo
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COMPLIMENTI SEI STATO BRAVISSIMO.
Angy
Luciano Alvazzi
Le tue parole saranno sempre con me, nella preparazione per la sfida che attende me e altri 4 Road (forse 5) da qui a otto mesi.
Sono fiero di esserti stato a fianco in tante gare in questa stagione e di farlo nelle prossime!
GRANDE GIAN!
GRAZIE,
Ettore
Robino
Secondo me è molto più difficile per uno normale ( o quasi )fare quello che hai fatto tu e non per un super atleta che finisce sotto le otto ore.
Grazie di esistere GIan.
A presto,Gianni Sgaramella.
Scusa se magari ho esagerato nell'insistere sulla necessitĂ di giungere al traguardo ad ogni costo, ma non credo di averti "violentato" piĂą di quanto eri disposto a farlo tu stesso.
Per me dovresti insegnare nelle scuole il significato della parola sport.
capt.ale
accezione i cui confini sto via via allargando proprio grazie a tutte le persone che sto conoscendo al Road.
e ho capito anche un'altra cosa: questa ricchezza di persone non è comune.
GRAZIE
ste
Ho le lacrime agli occhi ...
Grazie
Bruno
Rivivo nel tuo racconto l'emozione che ho provato la giornata del 15 di agosto ad Embrun e posso immaginare tutta la tua gioa nel portare a termine questa gara.
Complimenti ancora, Paolo
Massimo
Che dire: niente, immenso.
Grande Gian
Attilio
Delle parole.
Dei consigli.
Degli stimoli.
Delle risate.
Del tempo.
Triplo AUW per te.
W il Road.
Marietto Marseglia
Con altri amici stiamo cominciando ora a preparare l'IM di Nizza, credo che mi tatuerò tutte le tue parole nel cuore per averle a disposizone ogni volta che avrò una crisi durante la gara..........e se finisco (e lo finisco) sarà anche merito tuo.....
Garzie