La maratona che non scorderò mai
(e cosa ho imparato da lei)
di Patti Catalano Dillon
© 2006 42K(+) Press, Inc.
PROVIDENCE, RHODE
ISLAND, 24 ottobre 1976 – La maratona che non scorderò mai è stata la mia
prima. Era la maratona inaugurale di Ocean State a Providence, Rhode Island,
nell′autunno del 1976. Ma, strano a dirsi, ciò che ricordo meglio sono
stati gli eventi che mi hanno portato alla gara più
che la gara stessa.
Avevo cominciato
a correre da appena 11 mesi prima di questa prima maratona, coorevo perchè
volevo perdere peso. Non avevo mai corso a scuola o
alle superiori. Per quanto mi ricordo, pesavo 49 kg quando mi sono
diplomata al liceo del
Sacro Cuore a Weymouth, nel Massachusetts, ma nei successivi cinque anni
avevo preso oltre 20 kg.
Avevo frequentato il Quincy Junior
College, dove mi ero messa in luce giocando a
carte e bevendo birra. Avevo lavorato come aiuto infermiera per tutta la durata
della scuola superiore e stavo ancora facendo quel
lavoro così tanti anni dopo. Mi piaceva. Ma iniziavo ad
essere stanca della mia vita. Semplicemente
stavo davvero stufandomi. Sapevo che doveva esserci
qualcosa in più. Ero davvero molto infelice di come le cose si erano
messe per me.
Spesso un gruppo di infermiere con
le quali lavoravo andavano a bere qualcosa dopo il lavoro ed io mi univo ad
esse. Io lavoravo nel secondo turno, dalle 16 a mezzanotte.
E questo uscire a bere dopo aver smesso di lavorare a mezzanotte si trasformò
in uno stile di vita. Prima erano le sere del martedì, poi io
aggiunsi i venerdì, ed infine un sabato sì ed uno no.
Frequentavo donne – donne sposate –
ed io ero l′unica single del
gruppo. Una notte di marzo, semplicemente mi stufai di ascoltarle lamentarsi
dei loro mariti e dissi: "Se non ti piace, lascialo!" e qualcuna mi ribattè "Ma
guardati, guarda chi sta parlando!" (solo che non usò
espressioni così gentili). Ed io mi sedetti e feci
tesoro di ciò. Scivolai fuori dal bar in quel momento per non ritornarci più.
Nel frattempo era giunta in ospedale una paziente con un nome piuttosto insolito: Hajjar. Così mi chiedevo se
potesse essere della stessa famiglia di una ragazza
con la quale ero andata a scuola. E venne fuori che era proprio così: Era sua
madre. Non avevo visto la ragazza da quando ci eravamo
diplomate. Quando venne a visitare la madre mi lasciò senza parole! Vestito blue-navy, ventiquattrore, magra, istruita, sicura di sé.
Vedevo lei ed eccomi, questa inserviente gratta-pavimenti-vuota-le-padelle
di basso livello. E pensai: Cazzarola! Sembra così felice.
Sapevo cosa mi mancava. Io non ero
felice, e non sapevo cosa fare e come diventare felice.
TEMPO PER DARSI UNA REGOLATA
Mi ricordo che stavo seduta, osservando quanto grosse
fossero le mie cosce e pensando: mi sento orrenda. Ero
orrenda. Immaginavo che tutti coloro con cui ero andata a scuola si
fossero laureati e avessero quei favolosi lavori mentre io
ero rimasta una signora Nessuno.
Volevo dimagrire, ed ero stanca di stare a dieta, così
volevo bruciare le mie calorie – non che sapessi all′epoca cosa fosse una
caloria – e capivo che non stavo vivendo la mia vita, ma che mi lasciavo
vivere. Arrivai fino a redigere una
cronistoria per ogni ora della giornata allo scopo di capire cosa facevo del
mio tempo, dove se ne stava andando. E quando la rilessi mi venne un solo
pensiero: la mia vita faceva davvero schifo.
All′epoca sapevo
esattamente cosa piacesse ad ognuno dei personaggi della mia vita. Sapevo cosa piaceva ai miei fratelli e alle mie sorelle. Sapevo cosa piaceva alla mia famiglia. Sapevo
cosa piaceva al mio ragazzo. Sapevo come gli piaceva cucinato il cibo. Ma nessuno – specialmente io
- sapeva cosa piacesse a me. Così
decisi di inaugurare una campagna "siate-gentili-con-Patti". Sarei stata
gentile con me stessa per un′ora al giorno.
Iniziai con l′andare in bicicletta come facevo da ragazzina.
Ma fui colpita sul sedere e gettata oltre il manubrio
quando un furbone nel sedile del
passeggero di una macchina che mi veniva dietro mi diede una pacca sul
fondoschiena. Così decisi che non avrei più corso in bici.
Decisi di provare con il nuoto. In realtà avevo gareggiato quando ero più giovane. Ma un giorno andai al YMCA e la piscina era chiusa. Anche questo non avrebbe funzionato. Avevo
bisogno di qualcosa che potessi fare da sola, non dipendendo da niente e
nessuno. Allora comprai un
libro intitolato "Aerobics" del Dr. Ken Cooper, e imparai cosa fossero le
calorie, e imparai che lo jogging brucia più calorie del ciclismo o del nuoto,
e pensai: Hei! Voglio provare ӳto jogging. E così feci.
Il libro diceva di indossare i vestiti più comodi e le
scarpe più comode, e le mie scarpe erano delle Earth Shoes. Le indossai per mesi
quando cominciai a correre, insieme ad un vecchio paio di jeans tagliati al
ginocchio. E siccome mio padre era un boxer e lo avevo
visto correre con una cintura di neoprene in vita per sudare, anch′io ne
indossai una. All′epoca aveva un senso per me.
Il primo giorno che uscii a
correre, andai al cimitero di Quincy, perché non volevo che nessuno mi vedesse.
E ci corsi intorno sette volte. A quel tempo non sapevo
che era un giro da un chilometro e mezzo.
Al sesto giro una macchina della
polizia si fermò – ricorda che stiamo parlando di tempi in cui davvero poche
donne correvano e che la stazione della polizia era proprio di fronte al
cimitero – e il poliziotto mi disse "Scusi, posso chiederle cosa sta facendo?"
"Sto correndo." (mi
sembrava fosse evidente)
"Ah bene, d′accordo" disse.
E se ne andò. Ricorda erano altri
tempi, ed io ero lì con la faccia rossa, cerchi neri
sotto gli occhi, con il sudore che scorreva sul mio volto, e ripresi a correre
per terminare un altro giro. Da quella volta
in poi molti dottori mi dissero di smettere. "La corsa non è adatta alle
donne," dicevano, e "Non pensi ai tuoi bambini nel futuro?".
Stupidaggini, cose incredibilmente stupide. Ne avevo veramente troppo di persone che mi dicevano di smettere di
correre. Al lavoro, quando iniziai a vincere delle gare, qualcuno mi
chiese perché preferivo un trofeo ad un bambino. Io mi basavo sulle poche persone che mi incoraggiavano.
IL PRIMO GIORNO DI UNA NUOVA
VITA
In ogni modo,
dopo la prima corsa, tornai al YMCA per farmi la doccia, aprii la porta dello
spogliatoio e sentii sul viso l′aria fresca della porta che si aprivaǠMi
sentivo così bene. E mi ricordo che mi spogliavo dei vari strati di vestiti, ed ero madida di sudore. Non restava
nulla, avevo dato tutto. Feci la doccia, tenevo lo
spruzzatore in mano e misi la faccia sotto l′acqua e dissi "Questo è
esattamente il massimo che esista". E piansi. Piansi davvero, e non sono una di quelle persone con la lacrima
facile. Non avevo mai avuto nella mia vita un′esperienza paragonabile a
quella che il correre mi aveva dato. Non ero solo
felice, ero piena di gioiosa soddisfazione
E sapevo che questo era come volevo
vivere. Sapevo che questo era ciò che volevo fare.
Tornata a casa mi pesai e scoprii che avevo perso quasi un chilo e mezzo e pensai, Ooh, ooh, posso perdere 10 kg in
una settimana! Ma non lo sapevo davvero, non avevo la minima
idea.
E la miglior
sigaretta che che ho mai fumato è stata quella che mi sono accesa appena
tornata a casa. E′ il momento migliore, dopo
una corsa. Chiedete alla gente che fuma. Ha ancora un buon sapore. (No, io non fumo
più, ma all′epoca fumavo.)
Più tardi quel giorno, andai al lavoro per il turno pomeridiano, e raccontai alla gente che avevo
corso. Che bello,
dissero. Il giorno dopo riuscii a fatica ad uscire dal
letto, mi faceva male tutto. Ero
davvero convinta che le varie membra sarebbero cadute a pezzi, che avevo
preteso troppo, che fosse contrario alla legge naturale. Il dolore durò per almeno due settimane. Ma
appena potei, corsi di nuovo.
E successe lo stesso, ma il dolore
sparì prima. E corsi ancora. Non
vedevo l′ora di riprovare quelle sensazioni. Non potevo mettere le mani su quella sensazione, non potevo afferrarla, ma sapevo
che era mia. Nessuno poteva darmela, né portarmela via.
Prima di accorgermene mi feci notare.
Una donna che corre così impegnata a Quincy – non c′erano molte di noi all′epoca –
si mette in luce.
Al Y c′era un gruppo di maratoneti,
si preparavano per "la Boston"
ed erano appena tornati dalla precedente edizione.
Nonostante io
fossi nata e cresciuta a meno di 25 km a sud di Boston, non avevo mai sentito
parlare della Maratona di Boston.
Ricordo di gente
che sussurrava, quasi in tono reverenziale, "Oh, quel tipo ha fatto la maratona
di Boston, e quell′altro ha fatto la maratona di Boston. Non dovresti neppure osare salutare quelle persone." Così io sfacciatamente cominciai a correre con quel gruppo,
all′inizio riuscivo a stare con loro per appena un miglio. Ma
tutti loro parlavano di questa Maratona di Boston, e nelle settimane successive
scoprii che riuscivo a stare con loro di più perchè volevo sentire le loro
storie. Un giorno, doveva
essere maggio, me ne uscii fuori con "Io farò la maratona di Boston".
Un tipo mi guardò. "Davvero? Ma
lo sapevi che devi qualificarti?"
"Davvero? Cosa devo fare?" risposi scherzando.
"Devi correre una maratona," disse.
E io pensavo: Devi correre una maratona per correre
una maratona? E ancora: Managgia a me e alla mia boccaccia.
Ma dissi: "ah, sì? Quale?"
E lui rispose, "C′è una nuova
maratona a Rhode Island
cui noi tutti partecipiamo."
Ed io, "Davvero? Bene, cosa devi fare per qualificarti per Boston?"
"Beh, le donne devono correrla in
3:30 e noi uomini in tre ore." Ed io:
"Davvero? Hmm. 3:30. beh, ma quanto è lunga?"
Mi guardarono come se fossi appena balzata fuori da una
salsiera volante e dissero: "Quarantadue km e 195 metri."
Io non avevo idea di cosa significasse.
Per me non voleva dire assolutamente nulla.
MA COMUNQUE, QUANTO SONO LUNGHI
42 CHILOMETRI?
E pensavo: Boston Marathon. 42 chilometri e 195 metri.
Riesco a correre per 42 chilometri? Quanto
mi ci vorrà? Non lo sapevo. Quaratadue
chilometri? Ma mentre li ascoltavo, stavo anche
osservandoli – non intendo solo fisicamente, ma davvero guardarli – e sapevo
che potevo essere meglio di alcuni di loro. E pensavo tra me e me "Beh,
se loro ce la possono fareǦquot;
Così mi iscrissi alla nuova maratona.
A quel tempo fumavo ancora, lavoravo ancora a tempo pieno,
correvo qualche gara di tanto in tanto - su distanze di 5 e 10 miglia; non
c′erano 5 km allora – e vincevo. Queste era il fatto:
vincevo. E mi sentivo bene, mi nutriva, attiravo l′attenzione
in modo positivo.
Così come andavano le cose, io
conoscevo a malapena quelle persone. Quel tipo era un avvocato; quel tipo era un detective; quello era un
giudice. E parlavano con me, mi chiedevano come mi allenassi. Ed io rispondevo cose del
tipo: "Sì, cerco di correre ogni giorno, a volte un′ora, a volte 40 minuti". E
mi piaceva un sacco perché eravamo tutti in tenuta da
corsa, ed eravamo tutti uguali, e mi sentivo a mio agio. Non
ero più Patti, l′aiuto infermiera; non più la figlia di mia madre. Io
semplicemente facevo la gara – ero la ragazza che vinceva! – e
questo eraǠdecisamente figo.
Nel frattempo mi ero messa insieme ad un
militare. Lo chiamavo "il capitano". E a lui non andava che io
corressi. Mi disse "Non mi convince questa faccenda del correre". Mi disse che mi aveva cambiata. Ma io
sapevo che correre aveva fatto emergere cose di me che mi piacevano. Non sarei più stata spinta in qualche direzione o strumentalizzata
in qualche modo. Così ci fu una grande discussione.
Se ne andò. Io continuai a correre,
e correvo e correvo. Tornò e mi disse che avrei dovuto
smettere di correre – ma che mi dava sei mesi. Mi avrebbe concesso sei mesi per far uscire
la corsa del
mio mondo.
Per correre dovevo trovare dei sotterfugi.
Dovevo inventarmi scuse con le
colleghe per non uscire con loro la sera dopo il lavoro perché volevo alzarmi e
correre al mattino. E questo mi diede la vita. Era la mia vita. Era meraviglioso. Non volevo che nessuno venisse e me lo portasse via.
Durante questi sei mesi, continuai con i runners del Y. Continuavo ad ascoltare le loro storie. Volevo essere parte di quel gruppo. Amavo correre, e amavo
ciò che loro avevano, volevo essere parte di esso, così – indovina un po′ – mi
sposai con uno dei tipi del gruppo – un mese o due prima
della mia prima maratona. Al momento della maratona,
la mia corsa più lunga era stata di 32 km, l′avevo corsa una volta
e mi ero riposata per il resto della settimana. Pensavo che
sarebbe successo qualcosa di brutto al mio corpo. Fumavo ancora – non
avevo ancora capito le implicazioni – semplicemente mi piaceva il cameratismo, il far parte del gruppo, l′essere accettata come, beh,
come Patti.
Dopo aver corso
con le mie scarpe Earth Shoes per mesi – io corro sugli avampiedi e le Earth
Shoes sono adatte alla mia andatura – alla fine comprai il mio primo paio di
scarpe da corsa, le SL76s della Adidas. Erano le scarpe più dure con le
quali avessi mai corso, e io feci l′errore classico:
le presi troppo piccole. Ma che ne sapevo? Non c′erano tante scarpe da corsa nel negozio di articoli sportivi.
Le scarpe erano verdi, così per accompagnarle comprai
un paio di pantaloncini da ginnastica da uomo verdi ed una maglietta – sempre
da uomo – bianca con un ricamo verde. All′epoca non c′era nulla per ragazza o donna.
E′ UN BUON GIORNO PER MORIRE
Il giorno prima della gara, andai a
casa di mia madre. Lei non c′era, ma in cucina trovai mia sorella che aveva 8
anni e le dissi: "Oh, Maureen. Ho bisogno di abbracciarti"
Non siamo una famiglia espansiva, così lei
rispose "Uh, OK."
E mentre ci abbracciavamo, le dissi "Domani
correrò una gara, una maratona."
"Una maratona," mi disse.
"Cos′è?"
"Oh, sono 42 chilometri."
E le dissi, "Volevo abbracciarti" – e la
guardai seriamente -"perché potrei morire di infarto."
Lei mi guardò con gli occhi spalancati: "Davvero?"
"Uh-huh. Potrei davvero morire,"
dissi, "ma ho intenzione di correrla comunque. Non
me ne importa."
Più tardi avrei scoperto che sono
un′agonista. Ma allora non lo sapevo. Ero solo
una che non aveva il coraggio di portare indietro un
acquisto in un negozio, una che non riusciva a parlare davanti alla classe.
Ma andai alla gara, e ricordo che mi allineai alla partenza
pronta a guardare in faccia la morte se ce ne fosse
stato bisogno. Non avevo paura, non ero nervosa, solamente
pronta a morire. Era piuttosto bello provare quelle sensazioniǍ
qualcosa di nuovo. Ero coinvolta, catturata, e determinata a
correre questa gara a qualunque costo.
Non avevo alcuna idea di come correre la gara. Avevo solo intenzione di uscire e correrla. Fino a quel
momento la mia settimana con chilometraggio più elevato era stata di 65km (da
allora ho raggiunto gli stessi km a volte anche in un
giorno). La mia dieta era ancora tipo Patatine al formaggio e Diet Pepsi –
avrei corso di quello, di quello e di sigarette. Ma mentre mi
preparavo, comunque, continuavo a chiedermi: Cosa posso fare per migliorare? Addominali? OK, feci gli addominali.
Flessioni? OK. E
cos′altro ancora potevo fare? Smettere di fumare?
Uh-uh! Avrei pernsato anche a quel segreto per l′allenamento.
Così comunque, iniziammo la gara in gruppo. La corsa
era fatta di un giro piccolo e due più lunghi. Dopo il
primo giro, che era di circa 10 km, mi chiesero, "Hai la sensazione che vada
tutto bene per ora? "
"Sì, sto
bene, sto bene," dissi, così mio marito e i suoi compagni mi lasciarono, e
tutto quello che sapevo era che appena la faccenda si fosse fatta dolorosa –
perchè avevo sentito tutte quelle storie sulle maratone – tutto quello che io
sapevo era che più dura diventava, più duramente io avrei corso.
Il buffo è che non ricordo nulla
della gara. Non ho alcun ricordo della gara – davvero
– nessuna sofferenza o altro. Mi ricordo solo che era forte e
travolgente. Le foglie volavano. C′era vento contro lungo l′acqua.
E io correvo, correvo e poi mi
ricordo di aver sentito "Ed eccola, Patricia Latora of Quincy, Mass."
E ricordo di essere passata attraverso l′arrivo e la gente
gridava "Whooo-oooo!"
E ricordo di aver pensato: "E′
tutto qui?" La maratona mi era sembrata breve.
Ricordo di aver visto il mio tempo
e di aver pensato: "Mi sono qualificata!!!" E passai sul
traguardo e chi ti vedo? Mio
marito e gli chiedo "Ehi, come ti è andata?" Pensavo
che avesse finito da un po′ e si fosse già fatto la doccia. Lui mi rispose "OK. Ho fatto il
personale, ho corso in 2:53."
"2:53!" dissi, "Io l′ho
corsa in 2:53:40. Ero proprio
dietro di te" E mi scappò un "se avessi saputo che eri così vicino,
ti avrei battuto!" Non avevo intenzione di ferire
nessuno. Stavo solo scherzando. Ma ero cambiata
e il matrimonio era cambiato.
Quando arrivai nello spogliatoio femminile
dopo la corsa ero l′unica presente per un bel po′ di tempo. "Ehi, c′è nessuno?" chiesi. Nessuno
rispose. Il che era buono, perchè dovetti
combattere per sfilarmi la maglietta. Non riuscivo a muovere
le braccia sopra alla testa, mi facevano così male. All′epoca non sapevo
perché; il significato di pompare duramente, spingere
il movimento delle braccia, mi ero distrutta le braccia.
DOVE SONO LE ALTRE DONNE?
Insomma, quando
alla fine le altre donne cominciarono ad arrivare - Mary Sherr, Carol Goodwin, e
Sara Mae Berman – la prima domanda che mi posero fu "Chi sei?" poi "Da dove vieni? Come mai non
abbiamo mai sentito parlare di te prima?" E "Questa è la tua prima maratona?"
Vinsi il più grande trofeo che
avessi mai visto nella mia vita: una mostruosità alta un metro e venti. Stava a malapena nell′auto. Ero
gongolante, non occorre dirlo. La gente si congratulò con me. Erano tutti gentili. Ero nel paese delle
meraviglie. Non solo avevo corso e terminato la maratona – mi ero
qualificata per Boston!
Ed ero viva! Non ero morta!
Non sono mai riuscita a provare emozioni
simili da allora.
Ho battuto tre record americani nella maratona. Sono arrivata seconda tre volte alla
maratona di Boston. Sono stata la prima donna americana a scendere
sotto le 2 ore e 30. Ho concluso dietro la più grande maratoneta di tutti i
tempi, Grete Waitz. Sono stata invitata a correre maratone in tutto il mondo. Ma la maratona indimenticabile è
stata la prima. Se non l′avessi fatta, non avrei corso
le altre.
E per quanto buffo possa sembrare, non
riesco a ricordare i singoli momenti. Non mi ricordo
alcun momento. Ma continuai a vincere quella maratona cinque volte –
unica donna a farlo – stabilendo un nuovo record ogni volta.
Correndo la gara, l′unica cosa che sapevo era che quando
avrebbe cominciato a far male avrei dovuto correre più forte – ed è un qualcosa che ho continuato a fare durante tutta la
mia carriera podistica. Credo che corsi il giorno dopo
la gara. E sì, continuai a fumare. Non avevo ancora
compreso bene le connessioni con la salute – quello sarebbe venuto dopo. E sì, io e mio marito divorziammo poco dopo.
Così anche se avevo iniziato a correre per
perdere peso, presto me ne dimenticai. Ero concentrata su tutto un altro mondo.
All′epoca non avrei saputo dire su cosa.
Sapevo solo che mi faceva stare bene. E poiché nessuno me lo
aveva dato, nessuno me lo avrebbe potuto togliere. Era
mio, lo possedevo.
Correre era il mio passaporto per
la libertà.
Mi aveva dato la vita.
E COSA HO IMPARATO DA LEI
- Quando scopri
qualcosa nella vita che cattura la tua passione non farla andare via.
Abbracciala e spremi tutto quello che può valere.
- Quando in una
gara cominci a soffrire, corri più forte. Quando nella
vita le cose si fanno dure, lavora più duramente. Non
temere le cose che non conosci. La maggior parte delle volte scoprirai che era qualcosa per cui valeva la
pena passare attraverso l′ansia.
- Non addossare
la colpa della tua felicità su qualcun altro. Noi siamo responsabili di creare
la nostra felicità.
- Lascia alle
dita dei tuoi piedi abbastanza spazio nelle prossime scarped a corsa.
- Non progettare
troppo o iperintellettualizzare la tua prima maratona – semplicemente vai e
corrila.
- Allenati e
gareggia con gente più veloce di te; ti renderà più veloce e forse – alla fine
– persino più veloce di loro.
- Sogna in
grande, ma non ti scoraggiare se ti occorrono moltissimi piccolo passi per
arrivare al tuo sogno.
- E devo proprio dirlo? Non fumare.
E se fumi, smetti.