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Intervista a Alberto CerianiInserito da Franz.Rossi il 11/12/2006 alle 08:56 nella sezione storie
RITRATTI DI CAMPIONI: Interviste tra lo sport e la vita Alberto, la banalità dell′IronManSfida contro sè stessi? Impresa epica? Sforzo sovrumano?A volte mettere in ordine i propri valori può rovesciare un luogo comune IronMan, uomo d′acciaio, è il titolo di cui possono fregiarsi gli atleti che hanno portato a termine l′omonima gara. Una prova di endurance, durata e resistenza, che consiste in entrare in acqua, nuotare per 3,8 km, uscire dall′acqua montare su una bicicletta e pedalare per 180 km, scendere dalla bicicletta, indossare le scarpette da corsa e portare a termine una maratona (42,195 km). In totale sono 226 km, da percorrere con le proprie forzeǠe conosco persone che prima di fare un viaggio così in automobile si devono preparare psicologicamente. Il primo uomo impiega una manciata di minuti più di otto ore, la prima donna circa un′ora in più, ma gli atleti che giungono dopo lo scoccare della 17esima ora non entrano in classifica, vanificando i mesi di preparazione. In un′epoca in cui le grandi imprese – o le presunte tali – sono all′ordine del giorno, in cui ogni aggettivo di grado inferiore al superlativo non fa notizia, parlare di IronMan sembra una cosa appropriata, ma la storia che segue è un po′ diversa. Alberto Ceriani, milanese, classe 1969, pettorale 179 all′ultimo IronMan delle Hawaii (che per un triatleta è la Mecca delle IronMan) va contro tendenza e minimizza la cosa. "La vera cosa difficile è arrivare alla linea di partenza non all′arrivo. Bisogna prepararsi con costanza per almeno sei mesi, bisogna avere la buona sorte di non infortunarsi, bisogna mediare con la famiglia e il lavoro per trovare gli spazi necessari e bisogna trovare un bel po′ di soldiǦquot; E se lo dice lui, dobbiamo crederci. Alberto è uno che ha imparato nel modo più duro a venire a capo dei problemi che il fato ci mette di traverso. Da piccolo ha fatto le cose che abbiamo fatto un po′ tutti, scuola, amici, il campo di calcio, le gare di nuoto alle elementari, un po′ di judo. Poi la scuola superiore, un lavoro come disegnatore termotecnico, gli amici, fino a quando una sera del 1995, guidando verso casa si accorge di non vedere bene da un occhio. La mattina la cosa peggiora e dopo una trafila durata alcuni mesi tra medici ed ospedali, il verdetto: sindrome di Leber, una malattia rara che è nascosta nel dna, comporta l′atrofizzazione del nervo ottico e non è curabile. Dopo alcuni mesi Alberto non vede più nulla. "All′inizio è stato uno shock. Non è una cosa facile da accettare a 27 anni. Ti dibatti tra il senso di frustrazione per quello che ti è capitato e la speranza in un miracolo. Ma alla fine capisci che non hai scelta se non quella di accettare e vivere. Così ho imparato a muovermi, a leggere il braille, un nuovo lavoro di centralinista e ho ricominciato a vivere" Mentre parliamo Martina, 5 anni, la figlia di Alberto che fino a quel momento stava guardando la televisione, ci raggiunge in cucina. "Papà non trovo lo smalto per le unghie. Sai dove l′ho messo?", "Mi sembra sia sulla lavatrice, prova a cercarlo lì". Una vita normale, dunque, diviso tra la famiglia e il lavoro in banca. Se non fosse per questa passione per le grandi imprese. Come ti sei avvicinato allo sport? "Mentre mi curavano per la malattia agli occhi mi hanno fatto assumere grandi quantità di cortisone che, come sai, si trasforma subito in un cuscino di grasso intorno alla vita. Allora per riprendere un po′ la forma ho pensato di inziare a correre. Non potendo farlo da solo ho cercato e incontrato alcuni amici che mi hanno aiutato. Mi sono iscritto al Road Runners Club Milano, dove ho conosciuto Walter (Walter Valli, vicepresidente del club ndr) con il quale ho stretto subito un buon rapporto. "E correndo ho fatto la solita sequenza degli appassionati: ho allungato un po′ alla volta le distanze, ho provato la mezza maratona fino a quando nel 2003 ho corso la mia prima maratona a Torino, chiudendola in 4 ore e mezza con pari sofferenza e soddisfazione. "Poi Mike (Michele Pavan, un altro atleta non vedente che gestisce il sito "disabili in corsa" che si propone di mettere in contatto atleti diversamente abili con normodotati disposti a fungere da guide ndr) mi ha presentato una persona di Como, che già operava come guida per gli sciatori non vedenti e che si interessava al triathlon. E′ iniziato così il rapporto con Claudio Pellegri, che è il principale ispiratore di queste avventure, che funge da allenatore e consigliere, ma che ormai è diventato un grande amico, un′amicizia che va al di là dello sport e che si è allargata alle nostre famiglie". Quindi Claudio, che di mestiere fa il commercialista a Como ma che ha una preparazione specifica come preparatore atletico e soprattutto una grande passione per lo sport, è la persona che ti mette in testa queste strane idee. "Beh di solito succede così – ride Alberto – lui mi dice, ƃi sarebbe una traversata a nuoto dello stretto di MessinaƬ ed io abbozzo e gli chiedo se ce la possiamo fare. Se mi risponde di sì, allora si cominciano gli allenamenti. "E così abbiamo attraversato a nuoto lo stretto di Messina nel 2005, e avendoci preso gusto abbiamo attraversato il lago di Como e quello di Lugano lo stesso anno, salvo tornare a Lugano quest′anno per fare il bis. "Come dicevo prima, Claudio viene dal triathlon in cui si uniscono le prove di nuoto, bicicletta e corsa, è stato naturale per lui avviarmi in quella direzione. E io non mi sono fatto pregare. Poi dopo i primi duathlon e triathlon si pensa alla grande impresa, quella che è la gara per antonomasia per noi triathleti: la IronMan e tra le IronMan quella delle Hawaii che è la gara del mito" E così ti sei trovato alla partenza a Kona, nella Big Island delle HawaiiǍ "Frena, frena, come ti dicevo la fatica vera è arrivare alla partenza. Iniziammo a pensare seriamente alla cosa dopo aver fatto i primi triathlon, così scrissi agli organizzatori della gara alle Hawaii e loro mi risposero che non c′erano problemi (anche se a quanto mi risulta sono il primo non vedente a voler partecipare) bastava che partecipassi ad un′altra IronMan nei 12 mesi precedenti per dimostrare che potevo farcela anche alle Hawaii dove le condizioni climatiche e il percorso rendono più impegnativa la gara. "Così ho iniziato a prepararmi per l′IronMan di Klagenfurt (brillantemente concluso il 16 luglio scorso, ndr) e a cercare di rimediare un po′ di soldi. Alla fine tra il viaggio, gli alberghi, la spedizione del materiale e l′iscrizione alla gara, l′intera operazione è costata 6.500 euro. "Ma di nuovo – come mi era successo quando avevo deciso di iniziare a fare sport – mi è venuta incontro la gente semplice, quella che condivide con me la passione per lo sport e la vita di ogni giorno. Ho trovato degli sponsor negli amici del Road che hanno devoluto il compenso derivante dall′aver corso all′interno dell′allestimento di Martin Creed a Milano al mio sogno. La Fondazione Trussardi che aveva organizzato la cosa ha contribuito ulteriormente e sono arrivato a metà strada. Poi c′è stato l′impegno concreto e tangibile dell′Unione Italiana Ciechi e della mostra "Dialogo nel Buio", oltre al contributo di alcune aziende come MediaAge Group o la Hypo Bank. Quindi alcuni sponsor istituzionali ma soprattutto l′aiuto di amici e appassionati che ti hanno aiutato a realizzare questa avventura. E finalmente arriviamo alla gara. "Magari. Trovato il supporto economico restava il problema di arrivare in condizione fisica per affrontare la gara. "Una persona con una buona base atletica deve prepararsi per almeno sei mesi per raggiungere il grado di forma necessario ad una IronMan. Significa allenarsi due ore al giorno durante la settimana e il weekend fare 4-5 ore di combinato il sabato (due ore di bici più due di corsa) e 5-6 ore di bici alla domenica. Tutto tempo ritagliato al lavoro e alla famiglia. "Per il nuoto mi arrangio da solo, conto le bracciate per non sbattere contro il bordo, e riesco a mettere in cascina dei buoni allenamenti, ma per la bicicletta (corro con una guida su un tandem) e la corsa (si corre affiancati legati da un cordino che funge da guida) le cose sono più difficili. Un normodotato può alzarsi presto al mattino e uscire ad allenarsi. Per me la cosa si complicava. Devo sempre trovare una persona che possa fare l′allenamento con me, ai miei ritmi, nella mia zona. Non è stato facilissimo, verso la fine ero più stressato dalla caccia alla guida che dall′allenamento stesso. "Però molti amici delle società per cui sono tesserato – il Road per l′atletica e l′Athletic Team Lario per il triathlon – mi hanno dato una mano; Claudio, pur vivendo lontano mi ha aiutato molto e infine tutto un numeroso gruppo di sportivi incontrati quasi per caso al campo di atletica e diventati dei partner insostituibili. Sono loro i veri artefici di questa mia performance. "Quando non trovavo qualcuno con cui uscire mi chiudevo in cantina e facevo rulli (praticamente la bicicletta è montata su dei rulli per permettere l′allenamento da fermo) o il tapis roulant. Una noia spaventosa; dopo le due ore non riesci più a gestire lo sforzo mentale di correre senza muoverti". Non c′è che dire, un′organizzazione complicata. Quindi hai preso l′aereo e sei arrivato alle Hawaii. "Diciamo di sì, anche se la situazione è stata ben più comica. Claudio ed io avevamo una valigia in comune, due zainetti e un immenso scatolone con dentro il tandem. Ci siamo imbarcati a Malpensa, abbiamo fatto scalo a Francoforte, poi siamo rimbalzati a Chicago e a Los Angeles da dove dovevamo partire per Kona, ma il destino ci ha di nuovo messo lo zampino e quel giorno c′è stato il terremoto nel Pacifico (era il 16 ottobre, ndr). Quindi ci hanno fermato a L.A., abbiamo scaricato tutto, trovato un albergo e passato la notte lì, temendo che ci respingessero. Per fortuna invece al mattino dopo siamo ripartiti e siamo arrivati alle Hawaii. "Quindi dopo 20 ore di viaggio aereo, con 12 ore di fuso orario a sconvolgerci il bioritmo, siamo scesi a Kona, abbiamo lasciato le valige in albergo e abbiamo deciso di andare a fare una prova di nuoto nell′oceano. "Non potete immaginare che sensazione! Paura, innanzittutto. Grandi onde, la consapevolezza che sei di fronte alla più grande massa d′acqua del pianetaǠper farla breve me ne sono uscito a gambe levate e sono rientrato in acqua solo il giorno della gara. "Però l′organizzazione di una manifestazione come questa, valevole anche come prova per i mondiali IronMan, è incredibile. Ci sono dei distributori di integratori dislocati nell′isola lungo il percorso, e la bevanda è sempre refrigerata. E′ gratuita e a disposizione non solo il giorno della gara, ma anche i giorni precedenti. L′isola è disseminata di cartelli con scritto: Attenzione, triatleti in allenamento. E poi quando vai in giro con la maglietta di Finisher che prova il tuo aver completato la gara, la gente si avvicina e ti fa i complimenti. Tutto un altro spirito rispetto a quello che si trova in Italia". Ma veniamo alla gara. Raccontaci in breve com′è andata. "Sveglia alle 4.30, colazione abbondante e poi preparazione del materiale da portare al via. La partenza vera e propria è stata data alle 7.00. Il mare era mosso, ma l′acqua era calda. Claudio ed io dobbiamo sempre partire per ultimi e fare un po′ più di strada girando larghi intorno alle boe. Di fatto abbiamo una corda legata in vita, Claudio nuota davanti e io cerco di andare dritto tenendo la corda sempre tra le braccia in modo da avere la direzione. Comunque, dopo il primo giro di boa stavamo già superando concorrenti. Siamo partiti ultimi sui 1700 atleti al via, ma siamo usciti dall′acqua dopo 1:38′ che eravamo intorno alla 1540sima posizione. "Ci siamo cambiati e siamo montati in bicicletta. Mi ha sorpreso come le ragazze dell′organizzazione si preoccupassero di ungerti per bene di crema solare. Anche perché per il primo terzo di gara abbiamo dovuto pedalare sotto una pioggia battente, persino dolorosa. La frazione in bicicletta è quella più lunga e ti permette di alimentarti. Io ho mangiato davvero di tutto, dalle barrette energetiche ai panini con il prosciutto o il formaggio, e poi quando mancavano due ore alla fine mi sono limitato alla frutta. Per percorrere i 180 km abbiamo impiegato 6:53′ e dalla seconda ora in poi è iniziato il sole. La temperatura era gradevole, ma l′umidità tremenda e il percorso tutto collinare non ha certo aiutato. "Finalmente siamo arrivati al termine della frazione in bici. Ci siamo cambiati, ho indossato la canotta con gli sponsor e i pantaloncini del Road e siamo partiti. Chi ha corso una maratona sa cosa significa partire. A quel punto erano già le quattro del pomeriggio ed eravamo in movimento dalle sette del mattino. Sapere di dover affrontare ancora una frazione così impegnativa ti mette alla prova mentalmente. Iniziano a venir fuori i dolori e la stanchezza, ma conosci i tuoi demoni personali e ti sei allenato a sconfiggerli. Così tra un sorso di integratori e una banana, o magari una mezza CocaCola per darti lo sprint, siamo arrivati agli ultimi metri, quelli in cui hai la consapevolezza che è finita e trovi l′energia per sorridere ed alzare le braccia. "Al traguardo mi hanno messo una corona di fiori al collo, stile Hawaii appunto, e quando ho sentito che eravamo stati sotto le 14 ore è stata davvero una grande soddisfazione." Dal soggiorno di casa sua giunge il dialogo tra due personaggi dell′Era Glaciale 2. Il sole del pomeriggio sta calando e la luce in cucina si è fatta soffusa. Alberto non se ne accorge, ovviamente, e tace. Perso ancora nel rivivere l′esperienza di tre settimane prima. Lo incalzo con quella che per me è la domanda chiave: "Ma chi te lo ha fatto fare? E′ stato un modo per sconfiggere la malattia, per dimostrare che sei più forte? Cosa volevi provare e a chi?" "Ma va – Alberto ride sereno – non c′è niente di tutto ciò. Per me fare sport, allenarmi, è un modo per socializzare. Mi mette in contatto, spesso a lungo come nella IronMan, con persone con le quali condivido una passione vera per l′attività sportiva e che spesso diventano amici a tutto campo. Poi a me hanno sempre interessato le imprese estreme, quelle che offrono sfide serie. E′ tutto quiǦquot; Quindi nessuna rivalsa. Ma a cosa hai pensato appena superato il traguardo? "Devo dire che non ho pensato a nulla di particolare. Mi sono girato ad abbracciare Claudio (io scherzando dico sempre che più che supportarmi mi sopporta) un amico vero. Non lo hanno premiato all′arrivo in quanto come accompagnatore non era tenuto a fare tutta la gara e non aveva il pettorale. Ma lui si meritava come me la medaglia e la maglietta di Finisher, tant′è che la volevo lasciare a lui. Ma si è schernito. "Ho pensato a tutto il lungo viaggio che mi ha portato sotto il gonfiabile dell′arrivo, ho pensato a tutte le mille persone che mi hanno incoraggiato e spinto in quella direzione. Mia moglie Anna per prima, ma tutti gli altri, spesso quasi sconosciuti, compagni di avventura a volte per 5 km a volte per giornate intere. "Ho pensato che la IronMan è l′unica gara in cui sono partito rasato di fresco e sono arrivato con la barba lunga" Alberto se la ride. E io insito e dopo cosa farai? "Dopo l′arrivo siamo andati ad una mega festa organizzata dalla IronMan, hanno dato a mangiare a 6-7mila persone. Bellissimo. E poi siamo andati a prendere l′aereo era lunedì sera ore 21 locali e siamo atterrati a Malpensa alle 9 del mattino di mercoledìǠil bello del fuso orario. "Scherzo, tu vuoi sapere i miei prossimi programmi. Per adesso conto di andare fare una nuotatina domani o dopodomani. – Alberto ride prendendomi in giro - Non ho più fatto nulla da dopo la IronMan, sto recuperando. "Per il futuro abbiamo in mente la Marathon des Sables (una gara a tappe nel deserto, ndr) che non mi impensierisce tanto e poi, per i programmi a lungo termine, non mi dispiacerebbe fare un tentativo sugli 800 metri alle ParaOlimpiadi di Pechino 2008. Ma devo velocizzarmi troppo, ci penserò un po′ su." Ci salutiamo, Martina dal divano mi fa ciao con la mano, è timida come tutte le bambine di cinque anni, Alberto attende una telefonata da una radio per un′intervista. Mi consegna il depliant della mostra "Dialogo nel buio" organizzata dall′Unione Ciechi per far vivere ai vedenti le sensazioni dei non vedenti. Per lui è forte anche l′impegno sociale. "Ti ringrazio per l′interessamento. Io spero che dare un po′ di spazio alle storie come la mia possa aiutare ad avvicinare altri diversamente abili allo sport e attraverso lo sport alla vita di tutti i giorni. Che possa servire a far capire ai tanti normodotati volonterosi che il loro impegno è prezioso per chi come me necessita di una guida per muoversi. Insomma credo che possa essere d′esempio a molti altri non vedentiǦquot; E non solo ai non vedenti, Alberto, non solo a loro. Franz Rossi
Alberto e Claudio dopo il nuoto si preparano alla frazioni in bicicletta
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